domenica 31 marzo 2013

Non importa se il gatto...basta che mangi il topo europeo



Articolo uscito ieri (sabato 30) su Il Foglio (e strillato in prima sul sito nel pomeriggio di venerdì). In fondo il metodo Napolitano è quello proposto nel pezzo. Sebbene dalle Commissioni da lui create non verrà fuori molto, anche se Giovannini non è sciocco, conosce la drammaticità delle cose. I miei amici più politici mi hanno imputato che la proposta corrisponde al suicidio del PD. I miei amici politici continuano a non capire la drammaticità dela situazione. Questo commento da un lettore fiorentino mi sembra molto bello:
"Vorrei esprimerle tutto il mio apprezzamento per la proposta di accordo politico da lei avanzata su 'Il Foglio': per la sua chiarezza, coerenza e assenza di ipocrisia. Soprattutto per la sua dignità intellettuale e nazionale (non nazionalista). Nella speranza che le sue precise analisi della situazione possano trovare accoglienza le invio un caloroso saluto"


Una proposta indecente
Sergio Cesaratto
Al centro del programma di qualunque governo vi dovrebbe essere il portar fuori il Paese dall’incubo economico di marca europea in cui è precipitato. Di questo non si parla. E se lo si fa, soprattutto da parte del centro-destra, è attraverso boutade e non godendo di grande credibilità politica interna e internazionale. Mentre il tema dovrebbe essere centrale per il centro-sinistra, codardia politica, difetto intellettuale e sottomissione a Napolitano fanno in modo che nulla esso dica, se non di generico, in questa direzione. Il M5S fa ormai rimpiangere i vecchi partiti con le sue idee confuse, l’arroganza degli atteggiamenti, la sua vena anti-democratica.
Allora la mia proposta indecente (poiché proviene da un economista di sinistra) è che il PD accetti  un accordo col PdL su una lista di richieste ultimative da presentare in Europa, le uniche che possono evitare il naufragio completo del Paese (e dell’Europa). Ormai qui il problema non è se il gatto sia nero o bianco, ma ottenere fine dell’austerità e politiche fiscali e monetarie espansive; riforma della BCE includendo occupazione e crescita fra i suoi obiettivi primari; stabilizzazione dei debiti pubblici in rapporto al PIL (e non assurde riduzioni); unione bancaria che includa l’impegno dei paesi forti a sostenere i sistemi bancari deboli. Per essere credibili in Europa, tuttavia, non ci si può esimere anche da riforme interne. E qui servirebbe un sussulto di dignità politica da parte del centro-destra, se ne è capace: lotta dura all’evasione fiscale – il PdL potrebbe farsi garante di una successiva riduzione del carico fiscale quando le cose andranno meglio; lotta dura alla corruzione e alle mafie; sostegno alle fasce di popolazione in difficoltà con piani straordinari di occupazione pubblica; riforma elettorale, riduzione dei costi della politica e aumento dell’efficienza delle istituzioni; investimenti in istruzione, giustizia e territorio. Il mio auspicio era che tale programma fosse quello di una coalizione PD-M5S, ma la sordità di questi ultimi e il poco coraggio di Bersani l’hanno impedito. Se il M5S offrisse il suo apporto critico a tali proposte, esso sarebbe più che benvenuto, ravviverebbe le iniziali speranze che avevamo riposto su di esso. Se lo facesse rapidamente proprio proponendo un governo innovativo ancor meglio. Ma subito, ora, senza finti bizantinismi democratici on line.
L’Europa probabilmente ci dirà: bene le vostre riforme, ma su cambiare l’assetto delle politiche europee, nein! E allora? Constatiamo che ormai sulla stampa internazionale della necessità di finirla con quest’Europa che non vuole mutare se ne parla apertamente. Se c’è una cosa di cui Cipro ci dà degli elementi di riflessione, è che le difficoltà tecniche di separarci dall’euro non sono così drammatiche. Si chiudono le banche alcuni giorni, si introducono controlli sui movimenti di capitale, si ridenominano tutti i conti nella nuova moneta (incluso il debito pubblico come la lex monetae consente), si stampigliano le banconote emesse dai bancomat per distinguerle dai vecchi euro ecc. Ci sarà una svalutazione della moneta, e la scommessa – ma non abbiamo alternative – è che questo consenta la ripresa delle esportazioni, e come nel 1992 non dovremmo temere una ripresa dell’inflazione, mentre il risparmio interno ricomincerebbe a essere sufficiente per sostenere il debito pubblico senza dover ricorrere ai mercati finanziari esteri. Con un po’ più di domanda interna l’occupazione riprenderebbe, affidando nell’immediato all’aumento dei redditi delle famiglie piuttosto che ad aumenti dei salari il sostegno dei ceti medio-bassi. Il vero problema della rottura è politico: l’Europa come istituzione economico-politica va salvaguardata. E poiché il popolo francese non sopporterebbe di veder uscire l’Italia rimanendo dentro la gabbia tedesca, è possibile che una divisione dell’area euro in due sia quella più auspicabile e ci salvaguarderebbe da vendette franco-tedesche. Non è una partita facile, ma per questo Paese è questione di vita o di morte. Naturalmente tutto questo non lo si può dire in un programma di governo, ma a buon intenditor poche parole.
PS C’è anche un piano C: si rimane nell’euro, ma si passa a un’economia dei controlli: controllo dei movimenti di capitale e delle importazioni. Quest’ultima è necessaria affinché il rilancio della domanda interna non vada a beneficio dei tedeschi accrescendo il nostro debito estero. V’è necessità di nazionalizzare alcune grandi banche perché queste, accedendo alla liquidità della BCE, possano finanziare il debito pubblico a bassi tassi di interesse. In nome dell’emergenza nazionale anche questo si può minacciare. Ma chiariamoci, una rottura concordata è l’obiettivo più plausibile.

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