martedì 1 agosto 2017

Una sconfitta storica (aspettando il Polanyi moment)



 Breve articolo in una bella pagina dedicata al lavoro sull'antico quotidiano La libertà di Piacenza. h/t a Elisa Malacalza.
Diseguaglianza e perdita di tutele a livelli impensabili
Viviamo dal principio degli anni ’80 dello scorso secolo un periodo di sconfitta storica del lavoro, dopo decenni di lotte e avanzamenti culminati nei “trent’anni gloriosi” del dopoguerra, caratterizzati dal pieno impiego e da elevati salari diretti e indiretti (via stato sociale). La diseguaglianza e la perdita di tutele ha raggiunto ora livelli impensabili solo pochi anni fa. Questo trend fa apparire i decenni gloriosi un incidente storico, dovuto a contingenze che hanno temporaneamente spostato i rapporti di forza a favore delle lotte del lavoro, piuttosto che una smentita delle cupe previsioni di Marx circa la capacità del libero mercato di apportare permanentemente benessere diffuso e crescente. Quelle contingenze hanno certamente avuto a che fare con la sfida del socialismo reale nel proporre un’alternativa al capitalismo reduce dalla grande crisi degli anni trenta, dalle dittature fasciste (sconfitte per l’apporto determinante dell’URSS), dai conflitti mondiali. La piena occupazione arrecò tuttavia, a fine anni ’60, grande indisciplina sociale. Successivamente, inoltre, la sfida socialista cominciò a declinare nell’immaginario delle classi lavoratrici occidentali, sia per le sue evidenti difficoltà culminate poi in una crisi mortale, che per l’assuefazione a cospicui consumi opulenti. Il capitalismo ne approfittò per ritirare progressivamente quanto aveva concesso nei decenni precedenti. Gli strumenti della reazione, volti a minare ogni capacità di risposta delle classi lavoratrici, sono stati svariati: elevati tassi di disoccupazione dagli anni ’80, trasferimento di intere branche produttive nei paesi in via di sviluppo, flussi migratori.

Questi processi si sono presentati nel nostro paese in forma più drammatica. Paese storicamente ultimo fra i paesi avanzati, ha visto anni di conflitto violento fra una borghesia incapace di un compromesso socialdemocratico e le classi lavoratrici. L’adesione alla moneta unica è stata, da ultimo, lo strumento attraverso cui, nelle parole di uno dei padri dell’euro e ministro ulivista, gli italiani dovevano riapprendere la “durezza del vivere” (Tommaso Padoa Schioppa, Corriere della sera, 2003). Il prezzo pagato dal paese con l’adesione al sistema monetario europeo prima, e all’euro poi, sono stati disastrosi. Non si è lontani dal vero se si afferma che l’ampia di dimensione del debito pubblico e la perdita di interi settori industriali siano il frutto della scelta di autoimporsi la “disciplina europea” ispirata dagli Andreatta, Ciampi e Padoa Shioppa. La scomparsa delle grandi concentrazioni operaie, la diffusa frammentazione e precarietà del lavoro, l’elevata disoccupazione e la concorrenza coi lavoratori immigrati rende oggi molto difficile una reazione delle classi lavoratrici. La gabbia europea e la vocazione mercantilista tedesca vincolano l’azione di qualunque governo progressista mortificando le scelte dell’elettorato, come in Grecia. La politica, a destra e a sinistra, si risolve così un chiacchiericcio incapace di proporre soluzioni concrete alimentando così l’anti-politica. Il famoso antropologo Karl Polany sosteneva che le società vessate dal liberismo scatenato possono reagire a difesa della possibilità stessa di relazioni umane. La nostra speranza è affidata alla comparsa di un “Polanyi moment”.

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